sabato 30 novembre 2013

IL VANGELO DELLA DOMENICA

   Il più grande dei comandamenti

 Mt 22,35-46

Il più grande comandamento

(35) In quei giorni uno di loro, un dottore della legge, lo ( a Gesù)  interrogò per metterlo alla prova: [36]«Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?». [37]Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. [38]Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. [39]E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. [40]Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Il Cristo, figlio e Signore di Davide

[41]Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: [42]«Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». [43]Ed egli a loro: «Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo:
[44]Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra,
finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?
[45]
Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». [46]Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo.
 
 
   Commento
 
      Nella lettura che ci viene proposta questa domenica il filo conduttore sono i rapporti umani: come ci si deve comportare verso il prossimo, come deve essere la mia disposizione verso gli altri, specie verso i più deboli e i bisognosi di aiuto.
E l’insegnamento che ci viene dato non pare in sintonia con quello che è l’umano sentire, stride con quelli che sembrano essere i capisaldi del nostro benessere terreno.
Il primo contrasto lo abbiamo nel brano dell’Esodo. Non molestare il forestiero, offri aiuto economico a chi è nel bisogno senza chiedere interessi, se ottieni in pegno beni essenziali, restituiscili a chi te li ha dati.
Quale “azienda” umana potrebbe prosperare con simili premesse? Quale stato potrebbe essere organizzato su queste basi?
Ma poniamoci la domanda: le nostre famiglie, le nostre coppie non potrebbero trarre giovamento da una attenzione all’altro basata su questa pagina della Bibbia?
E Gesù aggiunge a questo insegnamento antico il suo insegnamento più grande: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”.
Non ci sono dubbi o incertezze su quello che si deve fare. Bene, ma da dove cominciare?
Dalla nostra coppia, dalla nostra famiglia. Quanto bisogno abbiamo di dimostrare in famiglia, ai nostri figli, come e quanto amiamo il Signore. Come possiamo sperare che il mondo ami il Signore se nella nostra famiglia non ne parliamo, non professiamo costantemente questo amore?
E poi, dobbiamo portare amore ai vicini, ai deboli, ai bisognosi a tutti coloro che incontriamo. Amore che non vuol dire elemosina, qualche spicciolo nel canestro della raccolta durante la Messa o passato dal finestrino al questuante extracomunitario.
Un amore che deve essere ascolto, un sorriso, nonostante tutto e al di là delle nostre debolezze.

sabato 23 novembre 2013

Il Vangelo della Domenica

 

Vangelo secondo Luca 18,18-27

Il notabile ricco

[18]Un notabile lo interrogò: «Maestro buono, che devo fare per ottenere la vita eterna?». [19]Gesù gli rispose: «Perché mi dici buono? Nessuno è buono, se non uno solo, Dio. [20]Tu conosci i comandamenti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non testimoniare il falso, onora tuo padre e tua madre». [21]Costui disse: «Tutto questo l'ho osservato fin dalla mia giovinezza». [22]Udito ciò, Gesù gli disse: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi». [23]Ma quegli, udite queste parole, divenne assai triste, perché era molto ricco.

Il pericolo delle ricchezze

[24]Quando Gesù lo vide, disse: «Quant'è difficile, per coloro che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. [25]E' più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno di Dio!». [26]Quelli che ascoltavano dissero: «Allora chi potrà essere salvato?». [27]Rispose: «Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio».
 
 Commento
 
    Il brano del vangelo di oggi incomincia con la domanda che ciascuno di noi si pone, credente o non.  E Gesù risponde in maniera semplice, come è il suo solito. Lo sai: osserva i comandamenti! Ed è il primo passo. Se vuoi andare avanti, va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri. Gesù ci può sembrare assurdo. Come rinunziare a tutto? Non si può. E' la prima risposta che ci viene da fare a tutti.  Gesù chiede troppo e noi non siamo disposti a  dare niente. E' qui che si verifica il nostro essere cristiani, cioè seguaci di Gesù. Il tempo delle belle parole è finito. La verifica della nostra fede si fa nei fatti. Ci rendiamo conto quanto lontani siamo dall'ideale che ci sta davanti! Ma proprio per questo  ci sentiamo anche spronati a camminare con umiltà e con coraggio nella storia alla sua sequela. Lui ci indica la strada, che però dobbiamo percorrere noi. La mèta è il Regno di Dio di cui tutti ambiamo a farne parte. Sì perché tutti desideriamo essere felici e vivere una vita in pienezza. E la realizzazione di questo senza Dio non si può.  Perché? Perché è Lui la Sorgente della Felicità, dell'Amore, della Vita senza fine. Fidiamoci di Lui che è il Fedele per sempre alle sue promesse e facciamo la nostra parte come Lui ci insegna nel Vangelo.
 
 P. Iosif
 

sabato 9 novembre 2013

IL VANGELO DELLA DOMENICA


Commento al Vangelo della Domenica 25-esima dopo la Pentecoste

Lc 10,25-37

Il grande comandamento

[25]Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». [26]Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». [27]Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». [28]E Gesù: «Hai risposto bene; fà questo e vivrai».

Parabola del buon Samaritano

[29]Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». [30]Gesù riprese:
«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. [31]Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. [32]Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. [33]Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. [34]Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. [35]Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. [36]Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». [37]Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Và e anche tu fà lo stesso».


 COMMENTO

I veri discepoli di Gesù sanno che il loro Maestro li chiama e li manda a servire l'uomo, ogni uomo. E' il suo insegnamento nel Vangelo di oggi.
      C'è un segreto per "ereditare la vita eterna", cioè per realizzarsi pienamente e raggiungere la felicità perfetta? Questo segreto ce lo rivela la Parola di Dio. Eccolo!: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore... e il prossimo tuo come te stesso". Non basta però conoscere tale segreto. Bisogna attuare la Parola che richiama il legame indissolubile tra il comandamento dell'amore di Dio e il comandamento dell'amore del prossimo:"Fa' questo e vivrai". Ogni gesto, che compio, è autentico se è sempre un gesto di amore a Dio e nello stesso tempo al prossimo.
     "E chi è il mio prossimo?". Gesù non dà una risposta teorica, ma racconta un fatto: dopo che è stato presentato l'atteggiamento di indifferenza da parte del sacerdote e del levita nei confronti dell'uomo gravemente ferito, ecco il gesto d'amore compiuto dal Samaritano, cioè uno straniero, un eretico per i Giudei. Il suo gesto manifesta alcune caratteristiche essenziali dell'amore richiesto  da Gesù:
- Un amore universale. Il Samaritano soccorre chi gli era socialmente estraneo, anzi nemico. Un amore, quindi, che non discrimina, non esclude nessuno. Non guarda tanto al colore della pelle, al colore politico, religioso, ideologico; ma prende atto che ha a che fare con un uomo: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico". E' quest' "uomo" il protagonista, messo in scena fin dall'inizio e che successivamente entra in rapporto (mancato) col sacerdote e col levita, e poi in rapporto (realizzato) col Samaritano. E' semplicemente un uomo e come tale suscita compassione nel Samaritano.
- Un amore coraggioso, che non teme di rischiare e paga di persona. Se i primi due non si sono fermati, è per ragioni di purità rituale, ma anche per la paura, se indugiavano, di subire la stessa sorte del malcapitato.
- Un amore sommamente generoso, che non si accontenta di un pronto intervento, ma si preoccupa anche del futuro di quest'uomo e coinvolge altri (l'albergatore) nella cura di lui.
      La chiave del comportamento del Samaritano si trova contenuta in due verbi: "lo vide e ne ebbe compassione". La compassione spiega e provoca il suo "farsi vicino" al ferito con tutte le azioni che esprimono il suo soccorso efficace e concreto. In effetti, il verbo "ebbe compassione" nella lingua greca del vangelo significa "sentirsi sconvolgere le viscere" ed è spesso usato per
indicare la tenerezza di una madre nei confronti del figlio che soffre. Non si tratta perciò di unacompassione emotiva e superficiale. Ma si intende un atteggiamento di profonda partecipazione e coinvolgimento. E' un immedesimarsi nella realtà dell'altro, un "patire-sentire con l'altro".  Ciò risalta ancor meglio se osserviamo che il comportamento del Samaritano si contrappone nettamente a quello dei due rappresentanti del culto. Tutti e tre arrivano, vedono. I primi due, però, passano oltre, mentre il terzo si avvicina, perché nel vedere è scattata in lui la compassione.
       Nell'agire del Samaritano Gesù mostra come l'amore vero "decentra", nel senso che non considero più gli altri in relazione a me, ruotanti attorno a me; ma considero me in relazione agli altri. Non più io al centro dell'attenzione, ma l'altro. L'esempio del Samaritano sottolinea il legame stretto fra l'amore di Dio e quello del prossimo: il culto separato dall'amore è sterile, anzi falso. E' ciò che non hanno capito il sacerdote e il levita. Sono rimasti prigionieri dei loro schemi mentali. Non hanno saputo cogliere la volontà di Dio che in quel momento esigeva il loro ritardo o assenza dagli atti di culto per offrirgli invece il culto vero (l'amore) in quel luogo profano e lontano dal
tempio di Gerusalemme. Il culto autentico che invece è stato offerto dal Samaritano. L'uomo ferito era, infatti, il tempio di Dio.  Non hanno capito che il bene, l'amore non solo non ha frontiere; ma
deve essere "inventato" con capacità creativa in tutte le situazioni più strane e imprevedibili in cui ognuno di noi può venire a trovarsi. Non hanno capito che l'amore non è una misura da applicare a tutti in modo uguale, come un cliché; ma ciascuno va amato in maniera unica e irripetibile.
        E noi abbiamo capito? Anche noi tante volte siamo prigionieri di determinati atteggiamenti che ci bloccano e ci impediscono di amare prontamente il prossimo. A titolo di esempio ne richiamiamo tre:
- La fretta: tutti corrono. È tanto difficile incontrare qualcuno che ha tempo per te, che sa "perdere tempo" e sa "interrompere" la propria attività (come fa il Samaritano) per donarti tutta la sua attenzione. Che non ti dice:"Ho da fare!". Ma: "Ora ho da fare con te!". Non ti dice: "Ci mancavi anche tu...". Ma: "Ci sei soltanto tu!".
- La paura di un nuovo impegno, la paura di essere disturbati, la ricerca dei propri comodi, il desiderio di essere lasciati in pace...
- La ricerca di un alibi: gli alibi per "defilarci" siamo bravissimi a scoprirli, a inventarli, a costruirli.
        Occorre, allora, una vigilanza continua. Noi siamo infatti istintivamente portati a prendere le distanze dall'altro, a rifiutarlo, perché vediamo nell'altro un possibile pericolo per la nostra autonomia, per la nostra libertà, per la nostra tranquillità. Gesù ha ampiamente risposto alla domanda "Chi è il mio prossimo?". Il prossimo d'amare, con tutte le modalità concrete vissute dal Samaritano, è ogni persona che si trova nel bisogno. Ma Gesù, concludendo il suo racconto, rilancia una contro-domanda: "Chi dei tre è stato prossimo di colui che è incappato nei briganti?". Lo scriba risponde: "Chi ha avuto compassione di lui". Letteralmente: colui che gli ha usato misericordia. Non importa tanto sapere chi è l'altro da amare, ma piuttosto decidere di fare un passo verso l'altro, farmi vicino, prossimo all'altro, "farmi l'altro". Come il Samaritano, come Gesù stesso, che in modo discreto in questa parabola parla di sé, raccontando la sua storia di totale solidarietà e condivisione con noi uomini feriti e malati. Una storia d'amore che in ogni Eucaristia viene ricordata e rivissuta: "Va' e anche tu fa' lo stesso".
         Ecco, allora, in sintesi il messaggio sempre attuale di questa pagina di Vangelo: per avere la vita eterna occorre amare Dio con tutto il cuore e, inseparabilmente, amare il prossimo. In che modo? Lasciandomi guidare dalla compassione che mi rende "vicino" e solidale ad ogni uomo, prontoa "usargli misericordia". La via alla vita, ormai, è la compassione attiva e l'impegno misericordioso, che hanno in Gesù il modello e la sorgente. Gesù, samaritano misericordioso, oggi continua a soccorrere l'uomo che giace ferito ai margini della strada, simbolo di ogni uomo povero e bisognoso di aiuto, attraverso la nostra attenzione concreta. Gesù che, però, si nasconde anche nell'uomo ferito. In Lui riceve la nostra attenzione misericordiosa e mi supplica: "Non
mi rifiutare. Sono Gesù!"


 P. Iosif (Giuseppe)

sabato 2 novembre 2013

IL VANGELO DELLA DOMENICA

               Domenica XX-sima dopo la Pentecoste

               Il Vangelo secondo Lc.16,19-31
     
     19C'era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. 20Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, 21bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. 22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. 23Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. 24Allora gridando disse: «Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». 25Ma Abramo rispose: «Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. 26Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi». 27E quello replicò: «Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, 28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento». 29Ma Abramo rispose: «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». 30E lui replicò: «No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno». 31Abramo rispose: «Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»».

     
      Commento

• Ogni volta che Gesù ha una cosa importante da comunicare, crea una storia e racconta una parabola. Così, attraverso la riflessione su una realtà invisibile, conduce coloro che lo ascoltano a scoprire le chiamate invisibili di Dio, presenti nella vita. Una parabola è fatta per far pensare e riflettere. Per questo è importante fare attenzione anche ai minimi dettagli. Nella parabola del vangelo di oggi appaiono tre persone: il povero Lazzaro, il ricco senza nome ed il padre Abramo. Nella parabola, Abramo rappresenta il pensiero di Dio. Il ricco senza nome rappresenta l'ideologia dominante dell'epoca. Lazzaro rappresenta il grido silenzioso dei poveri del tempo di Gesù e di tutti i tempi.
• Luca 16,19-21: La situazione del ricco e del povero. I due estremi della società. Da un lato la ricchezza aggressiva, dall'altro il povero senza risorse, senza diritti, coperto di piaghe, senza nessuno che lo accoglie, tranne i cani che vengono a leccare le sue ferite. Ciò che separa i due è la porta chiusa della casa del ricco. Da parte del ricco non c'è accoglienza né pietà per il problema del povero alla sua porta. Ma il povero ha un nome ed il ricco non lo ha. Ossia, il povero ha il suo nome scritto nel libro della vita, il ricco no. Il povero si chiama Lazzaro. Significa Dio aiuta. E attraverso il povero Dio aiuta il ricco che potrà avere il suo nome nel libro della vita. Ma il ricco non accetta di essere aiutato dal povero, poiché mantiene la porta chiusa. Questo inizio della parabola che descrive la situazione, è uno specchio fedele di ciò che stava avvenendo nel tempo di Gesù e nel tempo di Luca. E' lo specchio di quanto avviene oggi nel mondo!
• Luca 16,22: Il mutamento che rivela la verità nascosta. Il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Muore anche il ricco e viene sepolto. Nella parabola, il povero muore prima del ricco. Ciò è un avviso per i ricchi. Fino a quando il povero è ancora vivo e sta alla porta, per il ricco c'è ancora possibilità di salvezza. Ma dopo che il povero muore, muore anche l'unico strumento di salvezza per il ricco. Ora, il povero sta nel seno di Abramo. Il seno di Abramo è la fonte di vita, da dove nasce il popolo di Dio. Lazzaro, il povero, fa parte del popolo di Abramo, da cui era escluso, quando stava davanti alla porta del ricco. Il ricco che crede di essere figlio di Abramo non va verso il seno di Abramo! Qui termina l'introduzione della parabola. Ora inizia la rivelazione del suo significato, mediante le tre conversazioni tra il ricco ed il padre Abramo.
• Luca 16,23-26: La prima conversazione. Nella parabola, Gesù apre una finestra sull'altro lato della vita, il lato di Dio. Non si tratta del cielo. Si tratta della vita che solo la fede genera e che il ricco senza fede non percepisce. Solamente alla luce della morte si disintegra l'ideologia dell'impero ed appare per lui ciò che è il vero valore nella vita. Da parte di Dio, senza la propaganda ingannatrice dell'ideologia, le carte cambiano. Il ricco vede Lazzaro nel seno di Abramo e chiede di essere aiutato nella sofferenza. Il ricco scopre che Lazzaro è il suo unico benefattore possibile. Ma ora è troppo tardi! Il ricco senza nome è pietoso, poiché riconosce Abramo e lo chiama Padre. Abramo risponde e lo chiama figlio. Questa parola di Abramo, nella realtà, va indirizzata a tutti i ricchi vivi. In quanto vivi, hanno la possibilità di diventare figli e figlie di Abramo, se sapessero aprire la porta a Lazzaro, il povero, l'unico che in nome di Dio può aiutarli. La salvezza per il ricco non è che Lazzaro gli dia una goccia di acqua fresca per rinfrescargli la lingua, ma che lui, il ricco, apra al povero la porta chiusa per così colmare l'abisso.
• Luca 16,27-29: La seconda conversazione. Il ricco insiste: "Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli!" Il ricco non vuole che i suoi fratelli finiscano nello stesso luogo di tormento. Lazzaro, il povero, è l'unico vero intermediario tra Dio ed i ricchi. E' l'unico, perché è solo ai poveri che i ricchi devono restituire ciò che hanno e, così, ristabilire la giustizia pregiudicata! Il ricco è preoccupato per i fratelli, ma mai si è preoccupato dei poveri! La risposta di Abramo è chiara: "Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro!" Hanno la Bibbia! Il ricco aveva la Bibbia. La conosceva a memoria. Ma non si rese mai conto del fatto che la Bibbia avesse qualcosa a che vedere con i poveri. La chiave che il ricco ha per poter capire la Bibbia è il povero seduto alla sua porta!
• Luca 16,30-31: La terza conversazione. "No, Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvedranno!" Il ricco riconosce che è nell'errore, poiché parla di ravvedimento, cosa che durante la vita non ha sentito mai. Lui vuole un miracolo, una risurrezione! Ma questo tipo di resurrezione non esiste. L'unica resurrezione è quella di Gesù. Gesù risorto viene a noi nella persona del povero, di coloro che non hanno diritti, di coloro che non hanno terra, di coloro che non hanno cibo, di coloro che non hanno casa, di coloro che non hanno salute. Nella sua risposta finale, Abramo è chiaro e contundente: "Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti sarebbero persuasi!" Termina così la conversazione! Fine della parabola!
• La chiave per capire il senso della Bibbia è il povero Lazzaro, seduto davanti alla porta! Dio ci si presenta nella persona del povero, seduto alla nostra porta, per aiutarci a colmare l'abisso enorme che i ricchi hanno creato. Lazzaro è anche Gesù, il Messia povero e servo, che non fu accettato, ma la cui morte cambiò radicalmente tutte le cose. E tutto cambia alla luce della morte del povero. Il luogo del tormento è la situazione della persona senza Dio. Anche se il ricco pensa di avere religione e fede, di fatto non sta con Dio, perché non apre la porta al povero, come fece Zaccheo (Lc 19,1-10).