sabato 28 febbraio 2015

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA (1 Marzo 2015) - San Gregorio Palamas

Il tema dell’Ortodossia caratterizza anche questa seconda domenica dei digiuni della Grande Quaresima, infatti le Chiese di tradizione bizantina in questo giorno commemorano san Gregorio Palamas (1296-1359), monaco e vescovo di Tessalonica, che nel 1368 divenne emblema della riforma spirituale che si stava definendo nel monachesimo bizantino del XIV secolo. Cresciuto nella corte imperiale di Costantinopoli dove ricevette una formazione sia filosofica che religiosa, decise di farsi monaco e col tempo divenne il principale difensore dell’esicasmo, una particolare forma di ascesi praticata nei monasteri del Monte Athos. I monaci esicasti, ovvero coloro che  praticavano questo metodo di preghiera personale (vedi Mt6,6) con l’ausilio di tecniche di concentrazione psicosomatiche, consideravano possibile contemplare in se stessi la luce increata di Dio.
Questi monaci nel XIV secolo si scontrarono con Barlaam di Seminara, detto anche il Calabro, un monaco assai colto in filosofia e teologia apofatica, che, verso il 1330, si era stabilito a Costantinopoli. Per Barlaam la pratica esicasta era motivo di scandalo e considerava le tesi a sostegno di essa «dottrine assurde [...] prodotti di una fallace credenza e di un'immaginazione sconsiderata»(Lettera V a Ignazio). Accusò i monaci che la praticavano di essere eretici messaliani e li derise per la loro postura assunta durante la preghiera.
Ma la questione che si stava dibattendo tra i monaci e Barlaam, in realtà, era assai più profonda e non riguardava solamente il metodo di preghiera esicasta, ma la stessa Teologia, poiché le posizioni assunte da Barlaam intaccavano la reale possibilità della conoscibilità di Dio da parte degli uomini e la loro divinizzazione. Barlaam, infatti, cresciuto in Calabria ed influenzato dalla teologia scolastica occidentale affermava che la grazia apparteneva all’ordine della creazione, e in questa vita, l'unione che per mezzo di essa si realizzava con Dio era più simbolica che reale.
San Gregorio, chiamato a difesa dei monaci, dimostrò che la pratica esicasta apparteneva alla tradizione monastica ortodossa, e per difendere la possibilità della contemplazione della luce divina increata (che lui chiama anche grazia), fece riferimento alla Tradizione dei Padri e al passo del vangelo di Matteo (Mt 17,1-9), dove si racconta l’episodio della Trasfigurazione del Signore sul monte Tabor; secondo san Gregorio, infatti, in quella occasione Pietro Giacomo e Giovanni videro il Signore che “fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” - ossia - videro la luce divina increata manifestarsi nel Signore. Se la videro gli Apostoli significa che, potenzialmente, ogni cristiano può pervenire alla medesima luce e quindi ogni uomo, con l’aiuto della pratica esicasta, senza alcun automatismo, ma per dono divino, può vedere la luce divina increata manifestarsi in lui.
Ma l'apologetica di san Gregorio difese anche la visione della salvezza della teologia bizantina, che si basa sull’assioma espresso da sant'Atanasio di Alessandria e ripreso in seguito da molti Padri della Chiesa: «Dio si è fatto uomo perché l'uomo possa divenire come Dio». I Padri infatti considerano la divinizzazione (théòsis), ovvero la partecipazione alla vita divina, il fine ultimo della vita umana, e la divinizzazione avviene solamente se l’uomo in questa vita può entrare in comunione diretta e non simbolica con Dio stesso, che, come dice la Scrittura, va ad abitare in lui (Gv 14,23). Ma se l'unione con Dio, come sosteneva Barlaam, era più simbolica che reale la divinizzazione era impossibile.
San Gregorio per garantire la divinizzazione e allo stesso tempo la trascendenza di Dio introdusse una distinzione tra l’essenza divina (ousìa) e le operazioni  (enérgeia) compiute da essa. Dio nella sua essenza resta inconoscibile e trascendente il creato, ma per le sue energie, o grazia, ha il potere di divenire immanente, visibile e sperimentabile a vario modo da tutte le creature.
Per questa distinzione che salvaguarda la semplicità di Dio, la sua presenza nel creato e in modo particolare nella vita dell'uomo e allo stesso tempo ne garantisce la sua alterità, e per la difesa dei monaci esicasti, fu canonizzato e assunto come emblema della retta fede della Chiesa Ortodossa. Il patriarca Filoteo nel 1368 realizzò per lui un servizio liturgico completo e, sebbene il Santo morì il 14 di novembre, si stabilì che la sua memoria fosse celebrata nella seconda domenica dei digiuni della Grande Quaresima.


                  Dal Vangelo secondo Marco 2,1-12

      Ed entrò di nuovo a Cafarnao dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta, ed egli annunziava loro la parola.
Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov'egli si trovava e, fatta un'apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».
Seduti là erano alcuni scribi che pensavano in cuor loro: «Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?».
Ma Gesù, avendo subito conosciuto nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro: «Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino - disse al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua». Quegli si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio dicendo: «Non abbiamo mai visto nulla di simile!».

Commento

      Chi di noi si può ritenere senza peccato? Se siamo sinceri con noi stessi e con gli altri, credo nessuno. Chi di noi non sente il bisogno di essere perdonato e riportato nella condizione di innocenza che caratterizzava l'uomo prima del peccato? Tutti penso, senza paura di sbagliare e senza presunzione.
      Gesù con il suo modo di comportarsi ci dice che esiste un legame tra la guarigione spirituale e quella fisica. E questa realtà e' confermata anche dai medici che hanno preso sul serio la loro professione. Loro, principalmente si occupano e curano la dimensione corporea, organica dell'uomo, ma si rendono conto che l'uomo non è riducibile soltanto a questo e che esiste un'altra dimensione che andrebbe curata e guarita e che esula dalle loro competenze. 
   Ecco allora la missione della Chiesa: curare tutto l'uomo. Agendo nel nome di Gesù sulla loro anima,  si agisce indirettamente anche sulla condizione fisica della persona. Infatti la salvezza, in senso  cristiano, si riferisce a tutta la persona e non soltanto ad una parte di essa.
  La Chiesa è Madre per definizione e quindi si prende cura di ciascuno di noi dalla nascita e ci accompagna tutta la vita, se noi lo vogliamo. Assistiamo oggi ad una desertificazione delle chiese cristiane in Occidente, pare che l'uomo moderno non sente più il bisogno di Dio, tanto si salva da solo, riesce a risolvere i suoi problemi da solo, senza l'aiuto di Dio. Sarà così? Personalmente, ho qualche dubbio. 
     Andre Malraux, scriveva nel secondo scorso riferendosi al XX-esimo secolo:"o sarà religioso o non sarà più". Abbandonando Dio, abbiamo abbandonato l'uomo, creando intorno a lui il vuoto, il deserto, la solitudine esasperante che distrugge e oscura ogni orizzonte di speranza, non solo per l'al di là, ma anche per l'al di qua. Serve urgentemente una grande opera di evangelizzazione, per un ritorno alle radici del cristianesimo, per riscoprire una nuova umanità, fresca e solidale, che non lascia indietro nessuno (come sento dire spesso Beppe Grillo ed i suoi). Non siamo tutti figli dello stesso Padre? Non ci accomuna forse gli stessi bisogni e le stesse necessità, le stesse aspirazioni? Allora perché c'è chi naviga nell'oro senza lavorare spesso, anzi rubando ed ingannando il prossimo, e chi  combatte con la povertà, pur lavorando onestamente? Per le ingiustizie che noi stessi abbiamo escogitate e legiferate. Abbiamo costruito una società piena di contrasti che ha bisogno urgente di essere guarita nei corpi e negli spiriti. 
   Invochiamo lo Spirito Santo, il Consolatore, Colui che può guarire le nostre umane infermità e debolezze, che ci aiuti a non dimenticare che siamo ancora umani e siamo chiamati ad esserlo sempre di più, per poter contribuire , ognuno con i suoi talenti, a costruire il Regno di Dio che viene!


  

martedì 24 febbraio 2015

Quaresima= silenzio, essenzialità, gratuità

Quaresima è silenzio, essenzialità e gratuità


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di don Giorgio De Capitani
I cristiani parlano della Quaresima come di un periodo forte e provvidenziale, di un tempo propizio e favorevole. E poi: come l’hanno ridotta? A qualche formalità religiosa in più, con qualche rinuncia studiata ad hoc, il tutto condito di tanta ipocrisia.
E ogni anno, alé, si torna daccapo. Arriva la Quaresima, e si studiano iniziative o proposte, come se fosse una parentesi a sé, che, una volta chiusa con l’arrivo della Pasqua, aprirà di nuovo alla solita banalità della vita quotidiana.
Credenti o non credenti, tutti sentiamo il bisogno di momenti forti, in cui intensificare una auto-coscienza che faccia spazio al proprio essere interiore.
È vero che questo è un obbligo naturale, di sempre, ma ogni occasione è buona per tornare ad “essere”, nel suo senso più profondo. E allora, prendiamo anche la Quaresima, e trasformiamola in una preziosa occasione per rientrare in noi stessi.
Ecco perché la Quaresima riguarda tutti, perché tutti appartengono a quell’Umanità, dove ciò che conta non è tanto consumare cose, ma trasformare le cose in quel mondo di segni, che rivelano che c’è qualcosa di sacro in ogni realtà umana.
Dunque, l’invito è anzitutto al silenzio. La chiacchiera copre la voce dell’essere, o, ancor peggio, ne interpreta la voce, sostituendosi all’essere. Oggi tutto è talk-show, ovvero chiacchiera spettacolo, ovvero un insieme caotico di parole che disturbano la voce dell’essere. La Chiesa invita al silenzio, e poi parla e straparla, in continuazione. Forse anche il papa dovrebbe stare un po’ in silenzio, per ascoltare la voce del proprio essere, e per ascoltare la voce delle coscienze, che non riescono neppure a sussurrare qualcosa. Forse anche questo papa parla troppo, e finisce per straparlare. 
Il silenzio è la migliore parola, quella che proviene dall’essere, che emette suoni d’infinito così impercettibili che non arrivano all’orecchio del corpo, ma solo all’anima.
Non diamo sempre la colpa alla tv. La tv fa ciò che noi vogliamo. La tv obbedisce alla nostra ossessiva sete di esteriorità e di banalità. E le parole della tv non cambiano, se la tv fosse anche cattolica. Non si tratta di sostituire brutte parole con belle parole, ma di tacere, per ascoltare la parola parlante, quella dell’essere, che non sopporta rosari o litanie o lungaggini simili.
Solo nel silenzio si scopre l’altro valore che è l’essenzialità. La parola essenzialità deriva da essere. L’essere è semplicità, non complessità. Ciò che è semplice richiama l’unità dell’essere, mentre ciò che è complesso divide l’essere. L’essenzialità è la nudità dell’essere, e l’essere soffoca sotto la banalità delle cose. Il superfluo soffoca l’essere nella sua semplicità. Se l’essere è il nostro autentico vivere, come si può vivere sommersi da un mucchio di superfluo? E allora chiediamoci: perché talora entriamo in crisi? Non è forse perché ci viene meno, per qualche ragione, un po’ del nostro superfluo? Invece, dovremmo ringraziare le crisi, quando ci fanno star male ma per farci star meglio.
In Quaresima, a che servono i sacrifici o le rinunce, se poi, passata la Quaresima, riprendiamo il superfluo sospeso? I tagli servono se potano le cose inutili, in vista della essenzialità, che è la radice dell’essere.     
Dire essere, da scoprire nel silenzio, e dire essenzialità significa anche dire gratuità. Non può esistere gratuità, nel suo aspetto più nobile di volto dell’essere più puro, se siamo nelle mani avide dell’avere. Non nascondiamo la faccia dietro la maschera dell’ipocrisia. Rendiamocene conto una buona volta: la gratuità non entra nella logica di questo mondo, dove ciò che conta è solo star bene, nel senso più materiale delle parole “star bene”. Per star bene basterebbe anche poco, ma noi vogliamo tanto. Ma staremmo meglio, se vivessimo di gratuità. Vivere di gratuità sarà possibile, solo se ribalteremo la concezione materialistica di questa società. Il problema non è se abbiamo ciò che ci è dovuto per vivere, e neppure se viviamo in una società, dove anche i nostri diritti fossero rispettati. La gratuità costruisce i veri rapporti sociali. La gratuità ha origine nella nostra stessa costituzione naturale. La gratuità perciò non è la virtù da lasciare ai santi, ma un dovere personale e sociale.
E allora, che cos’è la Quaresima? Tempo perso? Tempo imposto dalla Chiesa per auto-conservarsi nella sua struttura?
Usciamo dalle formalità e ristrettezze religiose, e riprendiamoci il tempo prezioso del nostro vivere su questa terra. Riempiamolo del suo contenuto migliore, che è l’intensità di ciò che “siamo” o, meglio, di come dovremmo essere.

sabato 21 febbraio 2015

PRIMA DOMENICA DELLA GRANDE QUARESIMA (22 FEBBRAIO 2015)

Giovanni 1:43-51

 Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: «Seguimi». Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.  Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi».  Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità».  Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico».  Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!».  Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».


COMMENTO

Ritorna ancora l’espressione “il giorno dopo” così preziosa per confermarci che la storia è l’orizzonte della fede. La fede non è una dottrina, ma è prima di tutto un’esperienza, personale e anche collettiva, nel senso che coinvolge le persone tra di loro: ognuno è “chiamato”, ma questa chiamata divina si dilata attraverso le relazioni tra le persone. Per questo anche le precisazioni di carattere geografico sono importanti, come qui “la città” di Andrea e di Pietro che è anche la città di Filippo e forse anche di Natanele. E continua la chiamata delle persone da parte di Gesù come da parte delle persone che Gesù ha chiamate, come continua la bellezza di quel “trovare” che ai vers.43 e 45 ha come “soggetti” lo stesso Gesù e poi Filippo che trova Natanaele e gli dice “Abbiamo trovato…”. Siamo stati trovati da Gesù e per questo lo abbiamo trovato.
Qui la vicenda del “trovare” si arricchisce con il riferimento diretto ed esplicito alle “Scritture”: Gesù è “colui del quale hanno scritto Mosè, nella Legge, e i profeti”(ver.45). Di Scrittura Natanaele è un esperto, come vedremo in seguito. E per questo egli reagisce subito all’affermazione di Filippo, che di Gesù ha detto essere “il figlio di Giuseppe, di Nazaret”: “Da Nazaret può venire qualcosa di buono?”. Mai nelle Scritture della Prima Alleanza Nazaret viene citata! Troveremo questa obiezione, estesa a tutta la Galilea, alla fine del cap.7. Come abbiamo già ascoltato dalle labbra dello stesso Gesù per la chiamata dei due discepoli del Battista al ver.39, ora Filippo dice a Natanaele: “Vieni e vedi”(ver.46). Ma scopriremo che in realtà sarà Gesù a “vedere” lui!
Al ver.47 infatti Gesù mostra di conoscerlo già, e bene! Natanaele rappresenta nella sua persona l’Israele fedele che attende il Messia. Così infatti si può interpretare quel suo essere “sotto l’albero di fichi” dove Gesù dice di averlo visto, una condizione che caratterizza nei profeti l’età finale della pace messianica e lo studio libero e appassionato della Parola di Dio. Tenete conto che per la tradizione rabbinica, Dio stesso studia la Scrittura, come segno della sua pienezza e della sua felicità. Tale “riconoscimento” da parte di Gesù porta Natanaele a riconoscerlo come il Messia che lui, esperto di Scrittura, attendeva. La competenza che gli faceva chiedere se mai qualcosa di buono poteva venire da Nazaret ora gli fa riconoscere Gesù come “il Figlio di Dio e il re d’Israele”. E’ dunque questo Israele fedele che in Natanaele viene chiamato e accolto.
E Gesù annuncia a lui – e a tutti: ”vedrete” – il compimento straordinario di quello che Le Scritture profetizzavano e che sarà pienamente manifestato. A Natanale che lo riconosceva come Figlio di Dio, Gesù annuncia: “Vedrai cose più grandi di queste”, cioè ben più profonde e vaste di quello che si poteva già dedurre dalle Scritture: “Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”. Viene qui ripreso l’antico sogno di Giacobbe in Genesi 28,12, per dire che con Gesù veramente il cielo sarà aperto e si vedranno gli angeli “salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”, cioè sul Figlio di Dio Figlio dell’uomo che con la sua Pasqua pone fine alla separazione tra il cielo e la terra e apre la comunione piena tra Dio e l’umanità. 

In questa prima domenica della Grande Quaresima dei digiuni nelle Chiese di tradizione bizantina si commemora il ristabilimento del culto delle iconi. In oriente, per più di cento anni, a partire dal regno di Leone Isaurico (717-741) e fino al regno di Teofilo (829-842), la Chiesa fu sconvolta dalla persecuzione degli iconoduli, i difensori del culto delle immagini, da parte degli iconoclasti, che volevano distruggere le immagini sacre.
L'origine della diatriba e del pensiero iconoclasta è da ricondurre al divieto di produrre immagini di Dio, come espresso nelle scritture dell'Antico Testamento (vedi: Esodo 20,4-5 e Deuteronomio 4,15-19), al disgusto provato da molti a causa dalla degenerata venerazione delle immagini, che in molti casi erano considerate veri e propri idoli e al rapporto con il nascente e dilagante Islam.
Dopo alterne e dolorose vicende, dove sostenitori e avversatori del culto delle immagini ebbero in mano il potere politico, nel 787 si giunse alle definizioni del Concilio II di Nicea, dove fu stabilito il principio che, con l'incarnazione del Verbo di Dio, Dio è diventato visibile, sperimentabile e quindi raffigurabile: con l'incarnazione del Verbo il divieto di non fare immagini di Dio è stato superato.
Ma una completa e definitiva soluzione della questione iconoclasta si ebbe con la morte dell'imperatore iconoclasta Teofilo, quando la sua vedova Teodora, dopo aver deposto il patriarca Giovanni Grammatico, convocò, assieme al figlio Michele e al nuovo patriarca Metodio,  per l'11 marzo 843 un sinodo a Costantinopoli, dove si ristabilì definitivamente il culto delle immagini sacre. La regina, dopo aver venerato l'Icona della Madre di Dio, davanti all'assise sinodale enunciò queste parole: "Se qualcuno non offre rispetto al culto delle sacre Icone, non adorando loro come se fossero degli dei, ma venerandole con amore come immagini dell'archetipo, sia anatema". In seguito, la prima domenica dei digiuni, lei e il figlio Michele fecero una processione con tutto il clero e la corte imperiale portando tra le mani le restaurate icone, che di nuovo furono poste nelle chiese per essere venerate.
Da allora le Chiese di tradizione bizantina nella prima domenica di Quaresima portano in processione le icone e proclamano il Synodicon, ossia una rielaborazione degli atti del secondo Concilio di Nicea. Questa domenica è detta dell'Ortodossia per il trionfo della vera dottrina sull'eresia iconoclasta che, distruggendo le immagini, negava l'incarnazione del Verb