sabato 21 marzo 2015

QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA (22 MARZO 2015)

Dal Vangelo secondo Marco  10,32-45

Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore. Prendendo di nuovo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto:  «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani,  lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà».
 E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo».  Egli disse loro: «Cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero:  «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».  Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo».  E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete.  Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
 All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni.  Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere.  Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore,  e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti.  Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Commento
         Gesù prende in disparte i suoi discepoli perché deve preannunciare loro gli eventi futuri che riguardano la sua persona: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà». È più che evidente che Gesù parla della sua passione morte e risurrezione. Pare però che i dodici non capiscano e non vogliono intendere quel linguaggio, tant'è vero che due di loro, Giacomo e Giovanni, si accostano al maestro per chiedere qualcosa che non ha nulla a vedere con l'annuncio che egli ha appena fatto: «Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Tremendo contrasto! Viene da chiedersi come è possibile nutrire pensieri di gloria e aspirare ai primi posti mentre il maestro sta parlando di passione e di morte. Come è difficile per noi assimilare i pensieri di Dio, comprendere ed accettare i suoi progetti! Tuttavia Gesù non disattende la loro richiesta per quanto assurda possa sembrare, ma nella sua divina sapienza pone le condizioni inderogabili per raggiungere la vera grandezza e il posto che ci è riservato. «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Bere il calice amaro della sofferenza, essere disposti a subire il battesimo di sangue, cioè il martirio, seguire Cristo nella sua passione, queste sono le condizioni per poi sedere con Cristo nella sua gloria. Tutto ciò non ha però neanche la minima somiglianza con il potere umano e la gloria che sognano i due Apostoli ed è perciò anche ingiustificata l'invidia e lo sdegno che nasce nel cuore degli altri dieci. Anche loro hanno bisogno di una salutare istruzione che Gesù non manca di dare loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Questo è un messaggio che vale per tutti gli apostoli, vale per tutta la chiesa, vale soprattutto per coloro che dovranno assumere compiti di guida e dovranno essere i primi nel popolo santo di Dio.
      Non il potere, ma il servizio dovrà essere il proposito costante da vivere nella chiesa di Dio.








domenica 15 marzo 2015

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA (15.03.2015)

Domenica 15 Marzo 2015
Domenica IV di Quaresima: San Giovanni Climaco

Oggi ricorre anche:
Si fa memoria:
  • Domenica IV di Quaresima: San Giovanni Climaco  
Nella quarta domenica dei digiuni della Grande Quaresima le Chiese di tradizione bizantina commemorano san Giovanni Climaco, monaco, asceta, esicasta, che visse nel VI secolo. La memoria di san Giovanni ricorre il 30 di marzo, ma essendo tale data sotto la Quaresima e non potendo nei giorni feriali celebrare la Divina Liturgia, vista la popolarità del santo ed il suo esempio di vita ascetica, modello da seguire nel periodo quaresimale, si è posta la sua festa nella domenica odierna.
San Giovanni nacque verso il 575 in un luogo sconosciuto e la sua vita si sviluppò tra le montagne del Sinai e del Tabor, ove visse e raccontò le sue esperienze spirituali. Notizie su di lui sono riportate in un breve Bios scritto dal monaco Daniele del monastero di Raithu, dove si racconta che a sedici anni Giovanni, divenuto monaco sul monte Sinai, si fece discepolo dell’igumeno Martyrio.
Verso i vent’anni, scelse di vivere da eremita in una grotta ai piedi del monte Sinai, nella località di Tola, a circa otto chilometri dall’attuale monastero di Santa Caterina. Ma la solitudine non gli impedì di incontrare persone desiderose di avere una guida spirituale, come anche di recarsi in visita ad alcuni monasteri presso Alessandria d'Egitto. Il suo ritiro eremitico, infatti, lungi dall’essere una fuga dal mondo e dalla realtà umana, sfociò in un amore ardente per gli altri e per Dio.
Dopo quarant’anni di vita eremitica vissuta nell’amore per Dio e per il prossimo, anni durante i quali pianse, pregò, lottò contro i demoni, fu nominato igumeno del grande monastero del monte Sinai e ritornò così alla vita cenobitica, in monastero. Ma alcuni anni prima della morte, nostalgico della vita eremitica, passò al fratello Giorgio, monaco nello stesso monastero, la guida della comunità. Morì intorno al 649.
Divenne famoso per l’opera la Scala (klímax), conosciuta in Occidente come Scala del Paradiso. Composta su insistente richiesta dell'Igumeno del monastero di Raithu la Scala è un trattato completo di vita spirituale, in cui Giovanni descrive il cammino del monaco dalla rinuncia al mondo fino alla perfezione dell’amore.


Dal Vangelo secondo Marco 9,13-31

In quel tempo uno della folla disse a Gesù: «Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». Egli allora in risposta, disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall'infanzia; anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: «Credo, aiutami nella mia incredulità». Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: «Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più». E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».
Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà».

  Commento

     Nella quarta domenica della Grande Quaresima, dedicata alla memoria di San Giovanni Climaco, leggiamo di uno dei miracoli di Cristo: la guarigione del ragazzo tormentato da uno spirito sordo e muto. Ci sono molti modi per comprendere questo passo, e oggi ci limiteremo a considerarne alcuni. Iniziamo da questo demone e dal modo in cui tormenta il ragazzo. Da quanto il padre descrive a Gesù, il ragazzo viene gettato nell'acqua e nel fuoco da questo demone sordo e muto. Secondo i Padri, il demone è sordo perché non vuole che il ragazzo ascolti la parola di Dio, e muto per non farlo parlare lodando Dio.
Cos'è questo fuoco? Non è solo il fuoco materiale, ma anche il fuoco dell'ira, della lussuria, della gelosia, quei peccati di fuoco che sembrano darci tanto piacere, e avere tanta presa su di noi.
E che cos'è l'acqua? Qualcosa di altrettanto pericoloso per l'anima: le preoccupazioni di questo mondo, "le onde furiose degli affanni mondani", come le chiama uno dei più grandi commentatori ortodossi delle Sacre Scritture, il beato Teofilatto di Bulgaria. E non c'è un peccato - uno solo - che non abbia una parte di questo fuoco o di quest'acqua.
Il ragazzo era sotto il completo controllo del demone, che lo portava dove voleva, gettandolo nell'acqua o nel fuoco, tanto che il padre poteva a stento salvarlo. A pensarci bene, nel nostro caso non è tanto differente. Abbiamo tanta abitudine ai peccati (siano essi passionali come il fuoco, o di ansia mondana come l'acqua). Dobbiamo ammettere di essere in balìa del nemico. E dobbiamo ammettere di avere bisogno di aiuto. Solo se ci vediamo per quello che siamo possiamo rivolgerci a Cristo per guarire.
Cristo dice all'uomo che vuole vedere il figlio guarito, "Tutto è possibile a chi crede." Questo è vero. Lo comprendiamo. Lo accettiamo. Siamo cristiani. Diciamo "Dio può fare tutto, e guarire chiunque". Ma quando ci troviamo a vedere il fuoco e l'acqua dei nostri peccati personali, iniziamo a dubitare. Dio potrà certamente guarire qualcun altro. Ma crediamo davvero che Dio possa liberarci dalle passioni, dai nostri peccati, dalle cose che abbiamo fatto "fin dall'infanzia?" La maggior parte dei nostri peccati sono radicati in noi fino dall'infanzia: ora, crediamo davvero in questa nostra liberazione? La maggior parte di noi ha da lottare con forza contro una completa incredulità: in questo, non siamo molto diversi dal padre del ragazzo.
Abbiamo per fortuna davanti a noi esempi di grandi santi che hanno saputo compiere cosa degne di ammirazioni perché hanno volto credere, anche dopo avere compiuto peccati terribili. Una delle figure più luminose è quella di Santa Maria l'Egiziana, di cui si legge la Vita nell'Ufficio del Grande Canone (giovedì prossimo) e a cui è dedicata una delle domeniche dell'anno (la prossima). Anche dopo una vita di fuoco (nel suo caso, gli affanni dell'acqua non erano un problema, ma il calore delle passioni era davvero terribile), Maria ha creduto nel potere di guarigione di Dio. Ha creduto, e Dio ha operato miracoli in lei.
Sapendo di dubitare, diciamo anche noi, come il padre del ragazzo: "Signore, credo: aiuta la mia incredulità!" Non è un gioco di parole, è la descrizione più esatta di ciò che il Signore fa alle nostre anime. Egli ci aiuta nell'incredulità, facendo crescere anche il più piccolo seme di fede che trova in noi, se solo sappiamo lasciarci aiutare da lui.
Il nostro compito non si limita comunque a lasciar fare a Dio come se fossimo strumenti completamente inerti nelle sue mani. Il ragazzo appena liberato dal demone cade al suolo, e sembra morto, ma Cristo lo prende per mano e lo solleva. A questo punto è il ragazzo stesso ad alzarsi in piedi. Anche noi dobbiamo imparare a rispondere all'amore di Dio stando in piedi, e questa è la fatica che ci viene richiesta. Se non riusciamo, anche dopo avere gustato il perdono del Signore, a rialzarci in piedi di fronte a lui, allora forse avremo sempre problemi con l'incredulità. Coltiviamo invece questo piccolo seme di fiducia che abbiamo in noi, con la preghiera e il digiuno (le armi che sono indicate come rimedi in questo stesso brano evangelico), forzandoci un poco a frequentare la chiesa, ad accostarci alla confessione, ad approfondire l'insegnamento di Cristo. Egli ci ascolterà, e rafforzerà la nostra fede. E quando sentiremo la sua mano nella nostra, potremo stare in piedi al suo cospetto.
Amen.

venerdì 6 marzo 2015

TERZA DOMENICA DI QUARESIMA: ADORAZIONE DELLA SANTA CROCE

Nella tradizione bizantina la terza domenica dei digiuni della Grande Quaresima è dedicata alla venerazione della Croce del Signore. Questa non è l’unica data dell’anno liturgico in cui la Croce viene commemorata poiché, come nella chiesa romana, è il 14 Settembre il giorno in cui si celebra la sua universale esaltazione. Nel nostro calendario sono presenti anche altre due date: il sette maggio, a ricordare l’apparizione della croce sopra la città di Gerusalemme avvenuta nel 351, e il primo di agosto, quando la reliquia della santa Croce veniva portata in processione lungo le strade di Costantinopoli per proteggere la popolazione dalle malattie; inoltre non manca di essere venerata il mercoledì ed il venerdì di ogni settimana.
A metà del cammino quaresimale siamo invitati ad alzare gli occhi verso la Croce: quella Croce che da strumento di infamia e di morte è divenuta simbolo della fede dei Cristiani; quella Croce che il Signore da rude legno ha trasformato in chiave che apre le porte del Paradiso, in leva che scardina le porte dell'inferno, in sostegno per alzare il caduto Adamo; quella Croce, che come un albero è stata piantata in questa terra affinché sotto la sua ombra si trovi ristoro dalle sofferenze; quella Croce che ci ricorda la Passione del Signore, e presentando a noi il suo esempio, ci incoraggia a seguirlo nella lotta e nel sacrificio; quella Croce che ci ricorda che tutta la Quaresima è un periodo in cui ci siamo crocifissi con Cristo, e che la via della Vita passa per la sofferenza, che il Signore stesso su di essa ha conosciuto, per l'infamia, che su di essa il Signore ha sperimentato, per la nudità, che su di essa il Signore non ha potuto nascondere.
Sì, quella Croce che portò il Signore, che oggi veneriamo e glorifichiamo insieme alla sua santa risurrezione.


 Dal Vangelo secondo Marco 8,34b-9,1

 Gesù convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà. Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima? Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi». E diceva loro: «In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza».

Commento

   A prima vista la lettura del Vangelo di oggi, l'autore mette in risalto l'istinto di conservazione, l'istinto di dominare, di soggiogare gli altri. Sono istinti naturali, che l'uomo ha in comune con gli animali e che sono profondamente radicati in lui. Parliamo tanto di personalità, di sviluppo personale, di realizzazione di noi stessi, e spesso si tratta proprio di voler salvare la propria vita", come dice Gesù. E quello che vogliono gli uomini di Babele. "Costruiamoci una città e una torre la cui cima tocchi il cielo": vogliono conquistare anche il cielo, conquistare anche Dio. "E facciamoci un nome": è l'istinto di affermazione di se stessi.
    Il Signore però non può accettare che questo avvenga, proprio perché è contrario alla vocazione dell'uomo. Volendo salvare la propria vita, l'uomo la perde; per salvarla è necessario perderla, rinnegare anziché affermare se stesso. Tutti vogliamo affermare noi stessi e non ci è facile capire che la vera affermazione dell'uomo sta nel perdersi. Perché? Perché siamo chiamati all'amore e l'amore non può esistere senza un rinnegamento di sé. L'amore è sempre accettazione dell'altro, apertura all'altro; non è conquista, ma umile e fiducioso aprirsi e ricevere.
Dio dunque non vuole che gli uomini "si facciano un nome", non può accettare di essere conquistato. Un dio che può essere conquistato è un idolo, e se gli uomini hanno soltanto un idolo sono perduti; se invece si aprono a Dio nella umiltà e nel rinnegamento di sé, trovano il vero amore a cui sono chiamati: "Chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà".
Voler salvare la propria anima, cioè la propria vita, non è una preoccupazione egoistica, proprio perché è fondata sull'abnegazione, al seguito di Gesù: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua".
Gesù ci ha dato l'esempio: non ha conquistato orgogliosamente il cielo, ma si è abbassato; non ha innalzato se stesso, ma si è umiliato: "Spogliò se stesso" scrive san Paolo ai Filippesi, "umiliò se stesso. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato il nome ("Facciamoci un nome!" dicevano gli uomini a Babel) che è al di sopra di ogni altro nome". Così Gesù ci ha insegnato la via del perdersi per amore, l'unica via per salvare la nostra vita.


P. Iosif